venerdì 15 febbraio 2008

Consulta per gli stranieri, la posizione del Gruppo consiliare PD

Gruppo Consigliare Partito Democratico
Melegnano

Consiglio Comunale del 12 febbraio 2008

Mozione del Gruppo consiliare "Melegnano Città aperta":

“Istituzione, funzionamento e regolamento della consulta comunale per gli stranieri”

La proposta d’istituire la Consulta comunale per stranieri, come ci è ricordato nel testo della mozione, deriva dal programma elettorale del Gruppo “Melegnano Città aperta”. Un programma legittimamente sostenuto dai promotori, ma bocciato dalla maggioranza degli elettori melegnanesi.

A prescindere però dal gradimento o meno della proposta, il punto controverso sta nella proposta stessa.

Anzitutto il termine “consulta” nel nostro ordinamento indica un organismo istituzionale funzionale alla partecipazione dei cittadini in forma organizzata. Per cui, introdurre un elemento di partecipazione simile a ciò che esiste, ma diverso per organizzazione e gestione, creerebbe confusione e malintesi. Oltre a richiedere una necessaria modifica del regolamento di partecipazione popolare che attualmente, alla voce “consulta”, non indica presenze di rappresentanza singola od elettiva.

Entrando nello specifico della proposta, seppur riteniamo opportuno accogliere le indicazioni in materia di politiche per l’integrazione sociale contenute nel Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e le norme sulla condizione dello straniero (DLgs 286/98 e L. 189/02), riteniamo tuttavia che la risposta nell’istituzione di una consulta per stranieri, sia prematura ed avventata poiché non si fonda su una domanda espressa. Quindi presumibilmente votata all’insuccesso.

Gli ultimi dati relativi alla presenza di cittadini immigrati a Melegnano, delineano un costante incremento del fenomeno, giunto in città a sfiorare il 10% della popolazione confermando, anche a livello locale, l’irreversibilità del processo di migrazione in atto nel continente europeo.

Questo fenomeno interroga la politica e la pone di fronte ad una grande responsabilità derivante da una prospettiva non eludibile.

Un processo che ci sorprende e che per certi versi ci spaventa, ma il fenomeno migratorio va governato con la consapevolezza che la chiave di risoluzione sta nell’integrazione.

Solo lavorando per una cultura di socialità responsabile, fondata sul riconoscimento dei diritti e l’assunzione consapevole dei doveri di cittadinanza, si giungerà ad un’armonica convivenza.
Non è certo divulgando paure e sentimenti ostili, per lo più provenienti da egoismi e pregiudizi, a far sì che quanti entrano regolarmente nel nostro Paese si possano inserire in esso con pieno titolo di cittadinanza.

Si badi bene che questo non è “buonismo”, perché il rispetto del nostro ordinamento costituzionale va chiesto e preteso. E’ provato però che marginalizzando anziché inserendo, favorendo un rapporto di rispetto, di condivisione civile e reciproca conoscenza, si stempera anche la tensione della diversità, annullando gli effetti di ostilità e quindi di rifiuto delle regole stesse.

Per tornare all’oggetto della mozione, come dicevo, riteniamo sia prematuro istituire una consulta per gli stranieri senza conoscere in profondità la realtà migratoria presente a Melegnano.

Siamo informati del numero delle presenze regolari, dei Paesi di provenienza e delle etnie, ma non sappiamo quali sono le loro condizioni di vita, la realtà socio-economica che esprimono, il livello d’integrazione.

Pertanto, la proposta alternativa che avanziamo si sviluppa in due momenti. Quello più immediato che consiste nell’offrire alla popolazione immigrata un punto di riferimento preciso nell’ambito dei servizi comunali e che chiameremo “Sportello stranieri”.

Il secondo momento, che comporta certamente un percorso non breve, consiste nel porre in essere un’indagine analitica dell’immigrazione cittadina a partire dai luoghi della frequenza “obbligata”: la scuola ed il lavoro.

Pensiamo che un’azione conoscitiva del fenomeno migratorio possa condurci all’origine del fenomeno stesso e ad approfondire la sua conoscenza, coinvolgendo opportunamente le istituzioni scolastiche e gli organismi di rappresentanza del mondo produttivo, sindacati e associazioni di categoria, oltre a quelle realtà sociali che in città si preoccupano di queste persone.

Un contatto diretto con questa umanità ai più “sconosciuta” darà la percezione della volontà d’inserirsi nel contesto cittadino e farà emergere le domande, alle quali si potrà dare risposte concrete. Sempre che ci sia la volontà politica.

Poiché abbiamo la convinzione delle validità di questa proposta, ne faremo anche oggetto d’emendamento integrativo al bilancio di previsione per il 2008.

Il consigliere
Alessandro Massasogni

martedì 12 febbraio 2008

Immigrazione e integrazione, risposta al capogruppo della Lega Nord Fugazza

Melegnano, 12 febbraio 2008

Siamo rimasti sconcertati dalla lettera sull’immigrazione del capogruppo della Lega Nord in Consiglio comunale a Melegnano, Paolo Fugazza, pubblicata dal “Cittadino” di Lodi il 12 febbraio. Come ogni ragionamento bislacco, anche quello di Fugazza parte da una somma di banalità per arrivare a conclusioni deliranti. È un’ovvietà affermare “come italiani abbiamo la nostra cultura, la nostra società, la nostra lingua ed il nostro modo di vivere” o che “noi parliamo l’italiano e non il libanese, l’arabo, il cinese, il rumeno, il giapponese, il russo o qualsiasi altra lingua. Perciò se desiderate davvero far parte della nostra società, dovete imparare la nostra lingua”.

Assai meno ovvia, ma molto preoccupante è l’affermazione successiva: “Vi è un dato di fatto certo e incon[tro]vertibile: uomini e donne cristiani hanno fondato questa nazione sui principi cristiani”.

Con questa frase Fugazza dimostra di aver urgente bisogno di un approfondito ripasso di storia e diritto. Il capogruppo della Lega Nord dimentica che l’unità d’Italia è stata realizzata da uno Stato e da una classe dirigente che esportarono nel resto della nazione una visione talmente laica e liberale della politica da scatenare la reazione della Santa sede. Pio IX nel 1874 e Leone XIII ingiunsero ai cattolici italiani di non recarsi alle urne e con il famoso non expedit impedirono ai cattolici italiani (per più di trent'anni!) di partecipare attivamente alla vita politica del Paese. I principi cristiani di cui parla Fugazza furono e sono vissuti nella vita quotidiana di grande parte del popolo italiano, ma di certo non furono il fondamento né dello Stato postunitario né della Repubblica. Nulla di tutto questo va “scritto sui muri delle nostre scuole”, signor Fugazza!

È la Costituzione all’articolo 8 (che, per nostra fortuna, fu scritta in concordia da cattolici e laici di ben altra levatura intellettuale che non quella del signor Fugazza!) a dettare i principi in materia: «Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze».

Seguono altre farneticazioni, nelle quali di nuovo Fugazza mette insieme in un’unica risma “la nostra bandiera, il nostro giuramento, i nostri impegni, le nostre credenze cristiane, o il nostro modo di vivere” che dovrebbero essere “accettati” dagli immigrati. Non v’è dubbio che chi viene in Italia debba adeguarsi alla legge italiana, perché è proprio la legge dello Stato ad attribuire dei diritti ai cittadini stranieri ma che al contempo a imporre loro, allo stesso modo dei cittadini italiani, doveri precisi. Di certo imparare la lingua italiana è necessario, di certo l’integrazione degli stranieri è uno degli obiettivi che la politica, nazionale e locale, deve realizzare nell’interesse non solo degli italiani ma soprattutto degli immigrati. Ma l’integrazione non può e non deve trasformarsi in un’assimilazione forzata che annulli le differenze! Nessuno, italiano o immigrato, è obbligato dalla legge ad accettare “credenze” o “modi di vivere”: la libertà personale è limitata solo dal rispetto della legge, signor Fugazza, e non esiste alcun “dovere” di conformismo all’opinione e alla condotta “normali”, né tantomeno a una presunta “identità”.

Le affermazioni di Fugazza sull’“identità” nazionale e sul modo di propagandarla sono inquietanti perché ci riportano indietro al periodo più buio della storia italiana. Perché c’è stato un periodo della nostra storia nazionale nel quale ciascun cittadino aveva l’obbligo di adeguare la propria vita personale alle direttrici imposte da un potere superiore, signor Fugazza: il ventennio fascista! Mussolini impose l’equazione fascismo uguale Italia e su questa base arrivò a togliere la cittadinanza agli oppositori politici. Furono i fascisti a riempire i muri d’Italia di slogan identitari inneggianti alla violenza contro chi la pensava diversamente.

Chiudiamo con un’ultima osservazione. Ci fa piacere constatare che il signor Fugazza ha finalmente recepito nel suo vocabolario le parole “nazione” e “Paese”. Speriamo che il resto del suo partito, a partire dal signor Bossi, segua questa (tardiva) conversione al riconoscimento dell’unità nazionale, finendo una volta per tutte di minacciare la secessione e il ricorso alla violenza.

Gruppo Consiliare
Partito Democratico di Melegnano

Illuminazione pubblica, interrogazione a Sindaco e Assessore

Melegnano, 12 Febbraio 2007

Al Presidente del Consiglio Comunale
Al Segretario generale
Al Sindaco
All’Assessore competente

Ai sensi delle leggi, dello Statuto e delle regolamentazioni vigenti, si presenta la seguente INTERROGAZIONE con richiesta di RISPOSTA SCRITTA

ILLUMINAZIONE PUBBLICA

Premesso che

Si ritiene che l’illuminazione pubblica sia uno strumento essenziale e fondamentale per garantire la sicurezza;

Che sono sempre più frequenti e allarmanti gli atti di criminalità sul nostro territorio;

Che in occasione della prima variazione di bilancio presentata da questa Amministrazione nel Luglio 2007 vengono inseriti 1.000.000 di euro finanziati in project financing e espressamente mirati ad un progetto di illuminazione pubblica;

Che già in occasione della suddetta variazione abbiamo avuto modo di esprimere forti perplessità, non tanto sulla forma in sé stessa della fonte di finanziamento, quanto sulla reale fattibilità dell’opera e quindi della variazione;

Che su 5,2 milioni di euro di variazione di bilancio, a luglio, ben 2,8 milioni di euro, pari al 54,7% dell’intera variazione risulta finanziata con la forma di project finance, e che ad oggi nulla è stato sottoposto all’attenzione del Consiglio Comunale;

Che nel corso dell’ultimo mese è sotto gli occhi di tutti i cittadini Melegnanesi lo stato di incuria e degrado in cui versa l’illuminazione pubblica, solo per citare alcune delle strade totalmente o parzialmente al buio, peraltro già segnalato a voce:

Via Monte Grappa,
Via Castellini,
Via Predabissi,
Via Giardino,
Via Medici.


Si chiede:

Quali sono gli atti e le azioni messe in campo da questa Amministrazione per risolvere il problema?

Come si rileva il processo di mancato e/o buon funzionamento dell’illuminazione tra cittadino e Pubblica Amministrazione?

Qual’é lo stato dell’arte del progetto di illuminazione pubblica; si ricorda che a questa specifica domanda non è stata data sufficiente risposta sia in sede consiliare che in commissione.

Ricordo alla Giunta anche le mie perplessità avendo ricevuto poi quelle poche e vaghe risposte non dalla Giunta ma dal Consigliere Passerini, senza che il Consiglio fosse informato di una sorta di delega ad hoc.

Il Capo Gruppo Consiliare
Partito Democratico
Elettra Sabella

Sicurezza: il documento di indirizzi del PD di Melegnano

Melegnano, 12 Febbraio 2007
Gruppo Consiliare Partito Democratico


DOCUMENTO DI INDIRIZZI SULLA SICUREZZA

Premesso che

Nonostante le dichiarazioni alla stampa dell’Assessore Marco Lanzani, si veda il Cittadino del 20 novembre 2007, «……la città di Melegnano premia la politica del governo locale guidato dal sindaco Vito Bellomo e dalla coalizione di centrodestra. In particolare, ricordo le strategie per rafforzare la sicurezza cittadina»,

sempre dalla stampa locale sono sempre più frequenti, gravi ed allarmanti gli episodi di vandalismo, microcriminalità e segnali di criminalità organizzata (atti incendiari) di seguito solo un estratto di articoli:

27/7/2007 Edicola rapinata
20/9 Rapinata agenzia della BNL
3/10 Quartiere Montorfano allarme sicurezza e vandali nel parco
2/10 Rapina al bancomat di Paullo
4/10 Ignoti violano la scuola di Viale Lazio
10/10 Appiccato incendio immobiliare in via Monte Grappa
24/10 Rapina in due banche : San Paolo a Melegnano- BCC a Dresano
6/11 Writers scatenati nel cuore di Melegnano.
8/11 Melegnano e San Giuliano : assedio della microcriminalità (dalla prima pagina)
8/11 Centro città terra di nessuno, rinnovo allarme a Montorfano
14/11 Vandali sfondano vetrina in Via Marconi
19/11 Tabaccaia pedinata e scippata
20/11 Furti a raffica a Montorfano
27/11 Scippo record di 9mila euro
Furti di ferro nei cantieri lungo la ferrovia
3/12 Molotov lanciata in un parcheggio di Via XXIII Marzo
22/12 Rapina Farmacia Cavalli
28/12 Vandali nelle sale polifunzionali
Truffe agli anziani, preoccupazione dei Sindacati

11/1/2008 Vandali al parco gioco di Via Oleandri
18/1 Furti negli ambulatori
19/1 Rapina Banca Regionale Europea
Rapina alla stazione
23/1 Rapina farmacia Balocco
24/1 Banditi in azione nei bar e ai distributori
7/2 Allarme del comitato Ovest
9/2 Scippi in pieno centro

Per fronteggiare il bisogno di sicurezza sentito, avvertito e segnalato dai cittadini, si considera prioritaria la riconduzione di interventi praticabili e l’orientamento di tutti i soggetti coinvolti e servizi interessati ad un progetto compiuto e condiviso di medio e lungo tempo, capace di innovare progettualmente e di coordinare gli interventi tra di loro, al fine di creare nuove sinergie tra le attività delle Istituzioni: dalla Regione, dalla Provincia, dai Comuni limitrofi al Comune di Melegnano – con forte ruolo dei Quartieri – le istituzioni chiamate alla produzione del bene pubblico della sicurezza le Forze dell’ordine , le associazioni economiche di categoria, sindacali e sociali.

Si ritiene sia ormai trascorso un ragionevole lasso di tempo dall’insediamento dell’Amministrazione e negli atti concreti nulla si vede.

Si individuano come “mezzi e strumenti” attraverso i quali avviare un progetto per il territorio queste fasi:

1- ristrutturazione organizzativa della Polizia Locale;
2- ristrutturazione logistica della Polizia Locale;
3- ristrutturazione tecnico strumentale;
4- inquadramento organizzativo di comando territoriale;
5- controllo del territorio informatico;
6- conoscenza delle risorse umane e conseguente programma formativo.

Di seguito, ai sensi delle leggi, dello Statuto e delle regolamentazioni vigenti si sottopone all’approvazione del Consiglio Comunale il seguente

documento di indirizzi:

La sicurezza si preserva articolando sul territorio, in forma integrata, le varie strutture comunali, in questo modo è possibile creare la necessaria sinergia per far fronte alle sempre maggiori richieste di sicurezza.

Cooperando con altri organismi. attraverso l’istituzione di una rete formata dalla Polizia Locale, Servizi Sociali, Ufficio Tecnico ed associazioni locali, facenti capo all’UFFICIO SICUREZZA alla diretta dipendenza del Sindaco.

Il VIGILE di QUARTIERE, figura che deve diventare un punto di riferimento per l’intero quartiere; sempre la stessa nello stesso quartiere, una persona cui il cittadino possa rivolgersi con fiducia. Le problematiche raccolte dal Vigile di Quartiere confluiranno all’Ufficio Sicurezza, che valuterà se attivare la Polizia Locale, l’Ufficio Tecnico, i Servizi Sociali o altra struttura, in base alla natura stessa della problematica. In tempi brevi il cittadino avrà una risposta circa quanto segnalato, grazie alla rintracciabilità della segnalazione ed all’obbligo, da parte del responsabile di ciascun ufficio, di riferire circa l’operato, all’Ufficio Sicurezza.

Parallelamente al Vigile di Quartiere, ma con ambiti più prossimi alla prevenzione o mitigazione dei fenomeni di devianza giovanile, dopo un’attenta verifica sulla sua efficacia, potrebbe operare l’OPERATORE di STRADA, un educatore sociale impiegato direttamente sulla strada, che interviene in quegli ambiti ove il solo intervento di contrasto non sia ritenuto efficace per le problematiche in essere.

Le politiche locali per la sicurezza urbana, sono costituite dall’insieme delle azioni volte al conseguimento di un’ordinata e civile convivenza nelle città, di conseguenza i fautori di tali politiche sono le istituzioni, ma anche le organizzazioni e le parti sociali presenti sul territorio. Pertanto si rende necessario istituire un PATTO LOCALE PER LA SICUREZZA, che prevede la cooperazione tra Comune, Forze di Polizia operanti sul territorio, Protezione Civile, attività produttive, associative e di volontariato.

Il Patto Locale per la Sicurezza prevede un TAVOLO PERMANENTE, presieduto dal Sindaco, che elabori strategie d’intervento in concerto e con tutti i soggetti chiamati a operare.

Anche le attività commerciali di vicinato possono contribuire al presidio del territorio, aderendo all’iniziativa ESERCENTE AMICO, che prevede la possibilità dei cittadini di segnalare situazioni contingenti riguardanti la propria sicurezza o altre situazioni in argomento, rivolgendosi alle attività che esporranno il relativo adesivo, segnalando la situazione, certi che essa sarà telefonicamente inoltrata dall’esercente, assicurando l’anonimato del segnalante.

In tema di attività commerciali non bisogna disattendere la necessaria opera di riorganizzazione dell’area mercatale, che deve dotarsi di strutture atte a garantire l’igiene degli alimenti; di una razionalizzazione della dislocazione propedeutica al disincentivo dei flussi dei venditori abusivi; di perseguimento della legalità attraverso il costante presidio di forze di polizia locali e statali, in sinergia tra di loro, non escludendo ove necessario, anche interventi “in incognito”.

L’Amministrazione Comunale promuove iniziative di volontariato atte a favorire un più capillare presidio del territorio. In tal senso si deve prevedere l’istituzione delle G.A.V. (Guardie Ambientali Volontarie), con il preciso compito di prevenire comportamenti atti a danneggiare le aree verdi cittadine, contrastare il malcostume di alcuni proprietari di animali in tema di deiezione sul suolo pubblico, ed a reprimere comportamenti vietati come l’abbandono di rifiuti o le irregolarità circa la differenziazione nello smaltimento dei rifiuti urbani.

Altra risorsa è il VOLONTARIO delle SCUOLE, una persona che agevoli l’attraversamento pedonale degli scolari, in prossimità delle scuole, negli attraversamenti ritenuti meno pericolosi, onde disimpegnare risorse umane della Polizia Locale, da dedicare in altri ambiti.

L’Amministrazione comunale deve incrementare il ruolo locale svolto dalla PROTEZIONE CIVILE, importante risorsa del territorio.

In ambito di sicurezza urbana svolge un ruolo fondamentale la prevenzione, che deve necessariamente rivolgersi ai bambini sin dalla prima età scolare. Con il progetto EDUCANDO l’Amministrazione comunale, attraverso gli operatori della Polizia Locale, della Protezione Civile, formatori della MEA e personale scolastico, potrà incontrare annualmente tutte le classi delle scuole di Melegnano, trattando argomenti di educazione stradale, rispetto della legalità, delle regole civili e della cosa pubblica, gestione delle emergenze, nonché riciclaggio dei materiali e rispetto dell’ambiente.

Gruppo Consiliare Partito Democratico
Melegnano

mercoledì 6 febbraio 2008

Shoah e Foibe: costruire una memoria storica

C'è una profonda contraddizione nella decisione con cui la nuova amministrazione comunale di Melegnano, guidata dal sindaco Vito Bellomo, ha scelto di non commemorare la giornata della Memoria delle vittime della Shoah, ma di dedicare le proprie cure alla Giornata del ricordo dell'esodo degli italiani di Istria, Fiume e Dalmazia e delle vittime delle foibe.

Martedì prossimo, 5 febbraio, alle 21 nella sala delle Battaglie del Castello Mediceo, moderati da Fabio Raimondo, assessore ai Servizi sociali e alle politiche della famiglia, ne parleranno Vito Bellomo, Denis Zanaboni, assessore alla Cultura e identità, Piero Tarticchio, presidente del Centro di cultura Giuliano Dalmata, esule e figlio di un infoibato, oltre che parente di altre sei vittime delle foibe, insieme a Roberto Predolin, dirigente nazionale dell'Associazione Venezia Giulia e Dalmazia (oltre che assessore al Commercio del Comune di Milano).

L'iniziativa è lodevole: ricordare le migliaia e migliaia di vittime (italiane ma non solo, poiché vennero trucidati anche sloveni e croati la cui colpa era solo quella di essere anticomunisti) degli eccidi compiuti dai partigiani titini è un dovere, Commemorare l'etnocidio e la pulizia etnica nei confronti degli italiani di Istria, Dalmazia e Fiume e l'esodo di circa 250mila nostri connazionali è un dovere, come ha testimoniato di recente anche il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

Quello che appare meno nobile, ma forse semplicemente solo di parte e quindi stolto, è il tentativo dell'Amministrazione di Melegnano di commemorare quelle tragedie senza denunciare altre tragedie che a quelle sono strutturalmente connesse.

Parliamo delle politiche razziste che il regime fascista condusse per anni e anni contro le popolazioni slovene e croate dell'Istria e della Dalmazia. Parliamo del tentativo di Mussolini e dei suoi gerarchi di cancellare la lingua, la cultura, gli stessi cognomi delle famiglie slovene e croate, di modificare la toponomastica, di inculcare la "superiorità" della "razza" italiana nei confronti dei popoli slavi.

Non solo. Parliamo dei crimini di guerra compiuti dai militari italiani e dai fascisti nell'allora Jugoslavia. Parliamo, ad esempio, della repressione attuata durante il conflitto non solo contro i partigiani del Fronte di Liberazione, ma contro tutta la popolazione jugoslava assoggettata ai vincitori, italiani e tedeschi, fascisti e nazisti.

Parliamo dei proclami del generale fascista Orlando che ordinava «è necessario eliminare: tutti i maestri elementari, tutti gli impiegati comunali e pubblici in genere (A.C., Questura, Tribunale, Finanza ecc.), tutti i medici, i farmacisti, gli avvocati, i giornalisti, ... i parroci, ... gli operai, ... gli ex-militari italiani, che si sono trasferiti dalla Venezia Giulia», chiedendone la deportazione a migliaia nei campi di concentramento.

Parliamo del generale fascista Roatta, che in un vertice tenuto a Fiume il 23 maggio 1942, annunciava l'appoggio di Mussolini alla linea dura: «Anche il Duce ha detto di ricordarsi che la miglior situazione si fa quando il nemico è morto. Occorre quindi poter disporre di numerosi ostaggi e di applicare la fucilazione tutte le volte che ciò sia necessario... Il Duce concorda nel concetto di internare molta gente - anche 20-30.000 persone».

Parliamo dei processi sommari, delle fucilazioni, dei campi di concentramento per i civili. Ricordiamo, solo per citare un caso, il famigerato campo di prigionia di Arbe dove le condizioni inumane condussero centinaia di persone alla morte per fame e stenti, secondo la denuncia degli stessi Carabineri Reali nei loro rapporti ai Comandi italiani: solo fino al 19 novembre 1942, ad Arbe morirono di fame e stenti 289 persone, di cui 62 bambini.

Quelle vicende, quelle stragi, quegli orrori - sia chiaro - non giustificano la terribile risposta titina, condotta non solo contro i criminali di guerra fascisti, ma anche contro civili italiani, contro altri antifascisti di diverso colore politico. La politica prebellica e militare di Mussolini non può essere usata come motivazione per stendere il manto dell'oblìo sulla pulizia etnica applicata da Tito nei confronti degli italiani che abitavano in quei territori.

Ma se non si denuncia integralmente la follia razzista e imperialista del fascismo e del nazismo, se non si ricordano tutte, proprio tutte le vittime degli orrori della Seconda Guerra Mondiale, qual è il fondamento della pietà umana che può e deve essere espressa nei confronti delle migliaia e migliaia di italiani vittime dello stalinismo nella sua variante titina? Quale memoria, davvero storica e non semplicemente di parte, può essere efficacemente costruita se i carnefici jugoslavi - perché tali furono gli autori dei massacri delle foibe e della "pulizia tecnica" nelle ex province adriatiche d'Italia – sembrano emergere come per incanto, senza alcun retroterra, dalle vicende seguite all’armistizio del 1943 e alla fine del secondo conflitto mondiale?

Questo sforzo di raccontare tutta la storia, anche quella che non fa onore agli italiani, è del tutto assente dalla commemorazione organizzata dalla Giunta di Vito Bellomo. Forse poteva essere altrimenti, ma a quanto pare forze come Alleanza Nazionale e Lega Nord hanno voluto così. D'altronde se si intitola un assessorato all'"identità", come si può poi farsi carico di cercare di comprendere la "molteplicità" e la "diversità", non solo di un angolo d'Europa dove, prima del fascismo, convivevano popoli, culture e lingue diverse, italiani, sloveni, croati, ma anche quella dell’Italia, della Melegnano di oggi?

Un ultimo, anedottico dettaglio. Lo stesso Sindaco Vito Bellomo e la stessa Giunta, che hanno organizzato il convegno di martedì prossimo, alcuni mesi or sono hanno deciso di intitolare una via di Melegnano alla memoria di don Cesare Amelli. Fra le tante a disposizione, hanno scelto di cancellare proprio via Zara, l'unica che, insieme a via Fiume, ricordasse le vicende degli esodi dalmati. Le contraddizioni, si sa, spesso si possono leggere anche nei dettagli.

Gruppo Consiliare Partito Democratico
e Partito Democratico di Melegnano

31 gennaio 2008

Giorno della Memoria, il silenzio del Comune di Melegnano

Da alcuni anni ­per la precisione dal 2001 ­il 27 gennaio è diventata una data pubblica. Questa data ricorda la liberazione del campo di Auschwitz ed è stata assunta come il simbolo dello sterminio.

Questo è il primo anno dal 2001 che l’Amministrazione Comunale di Melegnano tace su questa data.

Nel luglio 2000 una legge dello Stato italiano ha definito la questione della memoria dello sterminio antiebraico nel corso della Seconda guerra mondiale come tema di riflessione collettiva. Da allora molte volte in questi anni la parola Shoah (letteralmente annientamento) ha iniziato a circolare e a far parte del vocabolario pubblico. A differenza di allora forse oggi è più radicata la percezione di quell’evento.

Da molte parti si è detto e spesso si è tornati a ripetere che occorreva fissare lamemoria della Shoah proprio per prevenire l’eventualità dell’oblio. Questo richiamo sembra pertinente ogni qualvolta il nome Auschwitz (o alternativamente: forni) viene usato ”con leggerezza” (per esempio tra tifoserie avversarie allo stadio).

Il Giorno della memoria ­il 27 gennaio ­non è il giorno dei morti. Per questa ricorrenza abbiamo già una data (il 2 novembre) nel nostro calendario civico e pubblico. Non c’è alcun bisogno di duplicarla. Il 27 gennaio è invece il giorno dei vivi. Della memoria per i vivi e non della commemorazione dei morti.

Più precisamente. La Shoah è un evento che ha voluto dire distruzione fisica di milioni di individui ­ soprattutto ebrei, ma anche portatori di handicap, rom o sinti, omosessuali, russi, polacchi, slavi, oppositori politici o per motivazioni religiose, cattolici, protestanti, Testimoni di Geova ­ sulla base di una macchina persecutoria che colpiva gli inquilini della porta accanto. Per questo la memoria del loro sterminio riguarda tutti noi. Non è un evento privato o corporativo.

Il 27 gennaio, il giorno della memoria riguarda un pezzo della storia culturale dell’Europa con cui l’Europa ha iniziato a confrontarsi, in ritardo e spesso con disagio. Su questo sarebbe bene tenere dritta la barra. Perché un evento acquisti il carattere pubblico per una comunità occorre che si costruisca la consapevolezza di un lutto e dunque di un vuoto, ovvero di una cosa che segni collettivamente uno scarto tra “prima” e “dopo”. La memoria pubblica non è altro che la consapevolezza di quel vuoto.

Un aspetto che è drammaticamente divenuto attuale nel silenzio di tutti noi di fronte ai fatti di Rwanda tra il 1994 e il 1995, ma anche della guerra nell’ex Jugoslavia tra il 1991 e il 1995, o del genocidio del popolo Armeno compiuto dai Turchi tra il 1915 e il 1916, o piuttosto delle stragi dei Khmer rossi in Cambogia dal 1975 al 1979, o ancora dei rischi di una nuovo genocidio tribale in Kenya.

La memoria non è un fatto. È un atto. Proprio perché la memoria è un atto che si compie tra vivi ed è volto a legare tra loro individui in relazione alla costruzione di una coscienza pubblica, essa ha un valore pragmatico, ovvero serve per fare qualcosa.

È un atto che dice oggi che del passato si è trattenuto qualcosa, e che quel qualcosa ha arricchito la nostra capacità di agire. E questo proprio perché in quel contesto si sono date molte possibilità e molti hanno fatto parte di una macchina distruttiva, anche nella sfera delle vittime. Ma questo se da una parte non significa che si confondano e si assimilino i ruoli, dall’altra obbliga a riflettere su ciò che tratteniamo di quell’esperienza.

Ovvero del valore civico di quella riflessione pubblica. «È ingenuo, assurdo e storicamente falso ­ ha scritto Primo Levi ­ ritenere che un sistema demoniaco, qual era il nazionalsocialismo, santifichi le sue vittime: al contrario, esso le degrada e le sporca, le assimila a sé, e ciò tanto più quanto più esse sono disponibili, bianche, prive di un’ossatura politica e morale. (...). Esiste
un contagio del male: chi è nonuomo disumanizza gli altri, ogni delitto si irradia, si trapianta intorno a sé, corrompe le coscienze e si circonda di complici sottratti con la paura o la seduzione al campo avverso. È tipico di ogni regime criminoso, qual era il nazismo, di svigorire e confondere le nostre capacità di giudizio. È colpevole chi denunzia sotto tortura? O chi uccide per non essere ucciso?».

E tuttavia anche così Levi riflette non su un dato astorico, bensì su uno storico. Infatti prosegue: «La coscienza generalizzata che davanti alla violenza non si cede, ma si resiste, è di oggi, è del dopo, non è di allora. L’imperativo della resistenza è maturato con la resistenza, con la tragedia planetaria della Seconda Guerra Mondiale; prima era prezioso patrimonio di pochi. Neanche oggi è di tutti, ma oggi chi vuole intendere può intendere... ».

E la città di Melegnano? Non vuole più intendere!

Gruppo Consiliare Partito Democratico
e Partito Democratico di Melegnano

27 gennaio 2008

Eletto il nuovo Coordinamento del PD di Melegnano

Alle primarie cittadine di Domenica 27 gennaio è stato eletto il nuovo Coordinamento cittadino del Partito Democratico.

I Melegnanesi che avevano partecipato già alle primarie del 14 ottobre per la scelta del segretario nazionale hanno votato sei candidati e sei candidate. Ecco i loro nomi:

Chiara Basile, Fortunato Borello, Nicola Borzi, Pierluigi Corsini, Michela Dieci, Maurizio Lambri, Dario Ninfo, Samantha Poggi, Vera Potecchi, Fabio Radaelli, Monica Vajna De Pava, Graziella Zanoni.

Del Coordinamento cittadino fanno parte, con diritto di voto, anche gli eletti al Consiglio comunale, la capogruppo del Partito Democratico Elettra Sabella e i consiglieri Alessandro Massasogni, Dario Morganti e Silverio Pavesi.

Al Coordinamento appartiene, senza diritto di voto, anche Davide Reati come componente del Comitato provinciale.